Xavier Dolan Questa intervista è stata precedentemente pubblicata su TOH! N20
Xavier Dolan o lo si ama o lo si odia. Lo si ama perché è talentoso, bellino e relativamente sexy. Lo si odia perché non è proprio simpatico, divertente ne alla mano. In attesa del suo ritorno sul grande e sul piccolo schermo vi proponiamo l’intervista esclusiva per Toh!
Incontriamo il giovane Xavier Dolan al cinema Apollo di Milano per la promozione del suo quinto film “Mommy”: vincitore del Premio della Giuria alla 67ª edizione del Festival di Cannes, nonché il primo a trovare finalmente una distribuzione italiana grazie a “Good Films”.
“Mommy” parla del difficile rapporto di una madre con il figlio affetto da deficit di attenzione e iperattività. Tra le varie domande che scorrono sul tavolo c’è stato il tempo di parlare di ipotetiche «leggi d’affido» che secondo il regista sono «futuribili», ma nel lungometraggio sono a tutti gli effetti «il pretesto narrativo per mettere i personaggi di fronte al dilemma dell’intreccio. Ma tolti i disordini mentali, parla del desiderio di una madre di amare suo figlio e di proteggerlo – con la paura di essere privati o di privare di questo legame».
Xavier Dolan, pur avendo sperimentato il tradimento con il college – nel primo film semi-autobiografico – non ha mai vissuto sulla pelle i disturbi del protagonista, ma riesce comunque ad imprimerli sulla pellicola con grande maestria, tanto che a fronte di quanti non si immedesimerebbero mai nella madre, altri hanno assicurato di vivere giorni «in cui vorrebbero consegnare il figlio ad un ospedale psichiatrico».
Sono molto interessato ai suoi protagonisti, alla luce della tua filmografia attuale – e includendo anche il videoclip “College Boy” diretto per gli ‘Indochine’ – mi chiedo se esista un filo conduttore che lega gli attori, ricorrenti, ai personaggi che poi sono chiamati ad interpretare sullo schermo.
«In “J’ai tué ma mère” Anne Dorval interpreta una donna di periferia, kitsch con una personalità scialba che non si relaziona bene con suo figlio, in “Mommy” è una cougar, eternamente “ado”, quasi volgare, impulsiva, forte nell’esprimersi, che ha una relazione simbiotica con suo figlio; Suzanne Clemént in “Laurence Anyways” è una donna appassionata, innamorata, fa l’assistente alla regia, mentre qui soffre di balbuzie, è depressa e fa l’insegnante.
Per quanto riguarda Antoine, se in “College Boy” è un ragazzo che proviene da una famiglia “borghese” vittima di bullismo, in “Mommy” è un adolescente – è lui il bullo – con turbe dell’attaccamento, pericoloso e violento, seppur molto carismatico.
Ti ringrazio della domanda, perché vorrei io sapere qual è il filo conduttore… se non il desiderio di proporre a queste persone l’occasione di fare ruoli diametralmente opposti».
Emerge in “Mommy” una sensazione di cinema più universale rispetto ai suoi precedenti, e al di là dell’assenza della tematica omosessuale, è un film in grado di raggiungere davvero tutti, sarà anche il suo formato fotografico 1:1, molto più vicino a quello televisivo per antonomasia – certo oggi soppiantato dal 16:9 che però non tarda ad arrivare anche sullo schermo.
Un film davvero toccante, «tutti possono immaginare il dramma, almeno credo»come le due liberatorie sequenze con Steve in skateboard che occupano parte delle domande poste a Dolan relative alla loro genesi, «scene liberatorie in grado di dare un vero e proprio respiro al film, un senso di pace, tranquillità».
Il regista odia l’espressione «montagne russe, ma rappresenta quella più adatta per esprimere queste onde di serenità che s’infrangono sul rumore delle crisi, gli scatti, le risate forti e le urla eccessive».
Ne approfitto per chiedere come la musica intervenga nel suo processo di scrittura, sottolineando come vada ad imprimere sulla pellicola anche le scene più cruciali – “da videoclip” – per i suoi detrattori:
«In questo caso le scene esistevano prima della musica, ma altre volte mi è capitato di scrivere un film dopo aver sentito una canzone alla radio. Circa i detrattori, ci saranno sempre: io mi muovo verso quello che la gente prova, trovo poco ispirante sapere quello che la gente pensa, anzi, in tutta sincerità non me ne frega niente!
Ho letto sul Guardian di una “masterclass”, di un regista e del suo essere un artista puro, della sua difficoltà di appartenere al mondo cinema e di adattarsi al gusto seguendo una sceneggiatura. Ho percepito il suo disgusto nel raccontare storie, per un cinema che io faccio e che può essere urlante, generoso, pieno ed espressivo, rispetto ad uno cerebrale, radicale ed austero; ha confermato come non vorrei mai appartenere alla categoria di chi pensa il cinema, ma a quella di chi lo vive, lo sente. Se lui si sente un’artista, amante dell’arte, allora io sarò un film maker».
Xavier Dolan è fotografato in esclusiva da Simon